venerdì 25 novembre 2016

IN PIEDI, SIGNORI, DAVANTI AD UNA DONNA









Per tutte le violenze consumate su di lei
per tutte le umiliazioni che ha subito
per il suo corpo che avete sfruttato
per la sua intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata
per la libertà che le avete negato
per la bocca che le avete tappato
per le ali che le avete tagliato
per tutto questo
in piedi, Signori, davanti a una Donna.

E non bastasse questo
inchinatevi ogni volta
che vi guarda l’anima
perché Lei la sa vedere
perché Lei sa farla cantare.

In piedi, Signori,
ogni volta che vi accarezza una mano
ogni volta che vi asciuga le lacrime
come foste i suoi figli
e quando vi aspetta
anche se Lei vorrebbe correre.

In piedi, sempre in piedi, miei Signori
quando entra nella stanza
e suona l’amore
e quando vi nasconde il dolore
e la solitudine
e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano
per aiutarla
quando Lei crolla
sotto il peso del mondo.
Non ha bisogno
della vostra compassione.
Ha bisogno che voi
vi sediate in terra vicino a Lei
e che aspettiate
che il cuore calmi il battito,
che la paura scompaia,
che tutto il mondo riprenda a girare
tranquillo
e sarà sempre Lei ad alzarsi per prima
e a darvi la mano per tirarvi sù
in modo da avvicinarvi al cielo
in quel cielo alto dove la sua anima vive
e da dove, Signori,
non la strapperete mai.

L'attribuzione di questa poesia è molto controversa. C'è chi l'attribuisce  a William Sakespeare, chi ad un anonimo poeta.

Ma non è questo l'importante; è importante, in questa giornata dedicata dall'ONU alle donne per combattere la violenza che l'uomo esercita su di loro, riflettere su questo grave fenomeno, perchè un uomo  violento per amore è solo un piccolo uomo e il suo è solo un amore malato.






sabato 19 novembre 2016

Sulle orme di Caravaggio a Roma : Basilica di Santa Maria del popolo



La Basilica di Santa Maria del Popolo si trova, come tutti sappiamo,a Roma  nella omonima Piazza del Popolo (dal latino populus che significa polpolo ma anche pioppo).
La chiesa ha origine da una cappella costruita nel 1099 e ingrandita nel tredicesimo secolo da Papa Gregorio IX. Gli interventi successivi  nel XVI secolo furono del Bramante, in seguito di Raffaello, che progettò la cappella Chigi, e del Bernini che restaurò nuovamente la chiesa dandole l'impronta barocca che possiamo ammirare oggi
Nel Transetto si trova la Cappella Cerasi dove sono due dei più grandi capolavori di Caravaggio, la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro. La pala d'altare centrale di Annibale Carracci raffigura l'Assunzione della Vergine.
Il 24 settembre del 1600 Monsignor Tiberio Cerasi commissionò a Caravaggio la realizzazione di due quadri rappresentanti la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo.
Il pittore li realizzò nell'arco di un anno facendo una doppia versione di ambedue le opere.



La Crocifissione di San  Pietro raffigura il Santo che viene crocifisso a testa in giù per suo volere, per rispetto  e umiltà nei confronti di Cristo. 
La luce colpisce la tela dal lato destro e illumina  il petto del Santo, parte del volto e della mano sinistra che presenta già il chiodo infisso. Le altre parti del corpo sono più in ombra.
Chi ammira il quadro rimane colpito dal volto del successore di Cristo, un viso di vecchio che coraggiosamente e umilmente affronta il martirio, tenendo la testa ancora eretta e gli occhi vigili, ma malinconici, rivolti verso chi assiste alla sua crocifissione alla sua sinistra, un personaggio che noi non vediamo ma di cui possiamo immaginare la presenza perchè si vede un lembo di abito buttato  a terra, probabilmente di un quarto uomo che aiuta a issare la croce.
I tre uomini che stanno sollevando la croce nelle loro movenze evidenziano tutta la fatica che richiede una simile operazione; la pesante croce deve essere conficcata nella buca e richiede un grande sforzo. In primo piano vediamo l'uomo scalzo dai piedi neri che appoggiato con le mani a terra regge sulle spalle il legno della croce, un altro sulla sinistra, il cui volto rugoso un pò in ombra denota tutto lo sforzo  e la fatica, solleva il lato più lungo del legno e il terzo tira con  una corda che segna la schiena curva sotto il peso.
Queste persone non sono raffigurate come aguzzini, ma come tre uomini semplici,  costretti a svolgere un lavoro faticoso e brutale non per loro volontà.
I personaggi si stagliano su uno sfondo  scuro con sfumature di marrone, un'atmosfera cupa e di morte che accompagna il sacrificio del primo successore di Cristo sulla terra.
Il fascio di luce crea dei chiaroscuri, illuminando parzialmente solo le vesti dei tre uomini, le braccia tese nello sforzo rivelano chiaramente la tensione dei muscoli. I volti sono nascosti nell'ombra in contrasto con  quello di Pietro ben delineato in tutti i dettagli.















Nella Conversione di San Paolo la scena rappresenta il momento in cui a Saulo, persecutore dei cristiani, sulla via di Damasco, appare Cristo in una fortissima luce che lo colpisce agli occhi e lo rende cieco. Gesù gli chiede di desistere dalla persecuzione dei cristiani e di diventare suo ministro e testimone.
Saulo, vestito da soldato romano, abbagliato dalla luce accecante è appena caduto a terra disarcionato dal cavallo imbizzarrito dall'evento straordinario. Giace sul suo mantello rosso, la spada al suo fianco, con le braccia rivolte verso l'alto, verso Gesù che solo lui può ascoltare e  al quale, lui acerimmo persecutore dei suoi seguaci, si  consegna totalmente.
Il cavallo  domina tutto il quadro, la criniera illuminata dalla luce, lo zoccolo sollevato miracolosamente per evitare di schiacciare Saulo che giace tra le sue zampe;  un uomo scalzo appare dietro la testa del cavallo e lo  tiene per le briglie mentre osserva la scena senza intervenire.
Non compare l'immagine di Cristo; chi guarda il quadro intuisce la sua presenza dalla luce irreale che ha squarciato la tenebra e dall'atteggiamento di Saulo che "guarda" verso l'alto e "vede" ciò che occhio umano non può percepire, Gesù Cristo che da questo istante cambierà per sempre la sua vita.
Il persecutore feroce dei cristiani diventerà l'Apostolo delle genti.










Le foto sono state prese nel web






martedì 15 novembre 2016

Villa Lante di Bagnaia, il giardino rinascimentale






A Bagnaia, piccolo borgo medievale della Tuscia, si trova un giardino rinascimentale tra i più belli  realizzati nel 500.
E' il classico giardino all'italiana ricco di giochi d'acqua, di planimetrie geometriche (un lungo viale intersecato da viali secondari), aiuole con precise forme geometriche, terrazze, statue e vedute mozzafiato.
Giardino rinascimentale, luogo di piacere e di svago, di bellezza e di armonia.
La sua realizzazione è legata alla storia di Bagnaia e al desiderio di alcuni principi della Chiesa desiderosi di mostrare il proprio potere all'interno dell'organizzazione ecclesiastica, in particolare del Cardinale Gambara.
La costruzione cominciò nel 1511 e terminò nel 1566 .
La villa ha preso il nome di "Villa Lante" quando nel XVII secolo passò nelle mani di Ippolito Lante Montefeltro della Rovere, duca di Bomarzo.

Villa Lante si compone di due Casini quasi identici, costruiti nell'arco di trent'anni. Il casino che sì incotra sulla destra, subito dopo l'arco bugnato che si trova all'uscita dal paese di Bagnaia, fu iniziato nel 1566, mentre l'altro fu costruito dal cardinale Montalto dopo la morte del cadinale Gambara avvenuta nel 1587.




I giardini con i giochi d'acqua, le cascate, le fontane e i grottini , le scalinate e le terrazze, costituiscono  l'attrazione  principale di Villa Lante. 

Entrando dall'arco che si trova nella piazza del villaggio ci si immette subito nel giardino, accolti da un parterre perfettamente regolare, il Quadrato con la Fontana dei Mori del Gianbologna; quattro mori tengono in alto il simbolo araldico della famiglia Montalto.



Da qui comincia una serie di terrazze che costringono il visitatore a inerpicarsi tra la fitta vegetazione di querce, lecci e platani, tra fontane, sculture e scorci inaspettati.




Nel primo dei giardini a terrazza si trova la Fontana dei lumini, una fontana a tre gradoni circolari e su ogni gradone una serie di fontanelle a forma di lucerne dalle quali sgorgono tanti zampilli.
Logge, grotte e statue cicondano la fontana .




Sulla terrazza successiva vi è un'enorme tavola di pietra circondata da acqua che scorre nel suo centro e tutto intorno. E' la mensa del Cardinale Gambara che amava riunire qui  a tavola i suoi ospiti per godere della bellezza del posto, della frescura delle acque e del buon cibo.




L'attrazione successiva è la Fontana dei fiumi che sovrasta con le sue statue sdraiate la mensa del cardinale. Le statue rappresentano l'Arno e il Tevere per ricordare ai visitatori di ieri e di oggi il forte legame di Gambara con la famiglia Medici e il Papato.



Continuando nella salita si incontra la Catena del Gambero, un  ruscello  che scorre a cascata lungo i gradini per concludersi in fondo alla terrazza. Il Gambero era lo stemma araldico della famiglia Gambara.




Subito dopo si arriva alla  Fontana del Diluvio alimentata dall'acqua che arriva dai monti Cimini e che andrà poi ad alimentare tutte le altre fontane. Attraverso arcate di finta roccia l'acqua si riversa nel bacino sottostante dove nuotano i delfini in peperino.



Sull'ultima terrazza si trovano ancora due piccoli casini che recano impressi sulla facciata il nome del cardinale Gambara.


Oltre il muro di cinta della villa si trova la Fontana di Pegaso inserita nella scenografia del Barco, la riserva di caccia del Cardinale. Al centro della fontana si trova la statua del Pegaso, il cavallo alato della mitologia che fece scaturire la sorgente di Ippocrene.




L'area boschiva intorno alla villa appartiene alla tradizione principesca che voleva per i nobili un luogo di svago e di caccia , naturale e selvaggio.







Foto di Alberto Colazilli